Techrome - Oblivion your soul

             
Evoluzione compositiva!! Si, se proprio dobbiamo dirla tutta, è proprio con queste semplici parole che ci piacerebbe ricordare il secondo lavoro da studio dei torinesi Techrome, un come back sulle scene che portava a frutto la raggiunta maturità di una formazione musicale che, solo pochi mesi prima, era riuscita veramente ad attirare l'attenzione di stampa, pubblico ed addetti ai lavori, con un debutto, l'altro pezzo da novanta “Evolution and revolution”, il quale poneva l'accento attorno a soluzioni compositive che, oltre al thrash metal di partenza, venivano caratterizzato da uno slancio creativo a base di soluzioni vicine ad un certo progressive autoctono, e da elementi di chiara impostazione art rock, per un melange sonoro, che ne faceva una delle formazioni fra le più personali all'epoca, e non solamente su suolo piemontese.
Si, nonostante la giovane età media, i Techrome sapevano come imbastire un intricato, quanto intrigante, tessuto musicale, e dimostravano, più con i fatti che con le parole, che le lezioni impartite da mostri sacri come Watchtower, Deathrow, Voivod, ma soprattutto come i geniali Meknog Delta, anche in Italia potevano contare su discepoli ben agguerriti. Registrato in maniera eccelsa alla Dracma di via Banfo, prodotto dalla stessa band che, oramai, aveva raggiunto una buona quadratura anche in studio, “Oblivion (your soul)” è un lavoro che mette bene in chiaro quelle che sono le velleità di un gruppo di musicisti che, piuttosto che ripercorrere in maniera pedissequa le orme di chi li ha preceduti, riesce ad amalgamare un variopinto mosaico di reminiscenze che ci conducono per mano al cospetto di composizioni erudite, sette cazzotti in bocca ben assestati, che hanno se non altro la pretesa, mi si permetta il termine, di abbattere il confine esistente fra i generi, arrivando a spaziare con disinvoltura dall'industrial dell'opener “The power of indecision”, alla struggente “Post agony” intensa ed emozionante, dal prog-thrash di “Oblivion”, alle reminiscenze hardcore, di “Stop”, proposta in italiano, al thrash annichilente di “Guardian angel”. Open mind, non ci sono altri termini per definire un lavoro di questa portata, il quale, nonostante riceverà entusiasmanti riconoscimenti dalla critica nostrana, riuscendo a vendere più di 2500 copie, si avete letto bene, circa novecento nella sola Torino, non permise ai nostri di spiccare il fatidico salto di qualità verso il disco di debutto, anche perchè, prima il chitarrista Roberto Sanna, poi il bassista Jeky Varlese, abbandonarono la band, il primo per seguire il progetto The Art Of Zapping, il secondo per suonare il suo basso nei Fratelli Sberlicchio, con il cantante Venario Derostet ed il chitarrista Stefano Grassi sempre alla ricerca di musicisti validi, nell'inseguimento di un sogno artistico che, a livello ufficiale, vedrà l'uscita, quasi in sordina, di altre due promo master per le sole etichette discografiche, ed il progetto per un ipotetico full lenght, per ora mai realizzato, che aumenta quel senso di amaro in bocca mai veramente mitigato.....        
(Beppe “HM” Diana)
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